Si parla di dimissione finalmente, e questo è un bel momento, quando i medici del reparto possono dire che il bambino non ha più bisogno di loro, o comunque non così tanto da giustificare il ricovero…
Il ritorno a casa riempie di gioia e di preoccupazione i genitori: il loro figlio è stato accudito, per un periodo più o meno lungo, da mani capaci che sapevano bene ciò che facevano, che avevano soluzioni pronte per ogni difficoltà.
Il genitore teme di non essere così bravo nella gestione del figlio, si chiede se facendo da solo sbaglierà…
In realtà come operatore che ha vissuto tanti anni in neonatologia ho imparato che tutti i genitori diventano in breve tempo i principali curanti del proprio figlio già durante il ricovero: l’accesso libero al reparto, 24 ore su 24, ha reso facile e continuativa la loro presenza accanto al bambino; si è accresciuta gradualmente l’attenzione alle esigenze del piccolo, con una sensibilità rafforzata dal legame affettivo, che facilita la ricerca di risposte e di benessere per entrambe, genitore e figlio.
La relazione che si rafforza nel passare dei giorni e delle settimane tra genitori e figlio, nonostante l’ambiente poco intimo della terapia intensiva neonatale, porta in sè le soluzioni dei problemi: un poco alla volta la mamma ha imparato a tenere il suo piccolo in braccio, ad alimentarlo, ad impratichirsi nell’igiene, a consolarlo nei momenti di difficoltà.
Certamente uno dei problemi maggiori, riportati dai genitori subito dopo il ritorno a casa, riguardano la difficoltà nello strutturare un regolare ritmo sonno-veglia; sembrava che in ospedale il bambino mangiasse e dormisse, invece a casa… C’è bisogno di tempo per il bambino, per adattarsi al nuovo ambiente, e c’è bisogno di tempo per il genitore, per non lasciarsi prendere dall’ansia di non fare bene; con pazienza , senza preoccuparsi di sbagliare, ricordandosi però che i gesti, la voce, le modalità di accudimento portano di per sé potenti messaggi comunicativi al figlio: se le cose vengono fatte con ansia e troppa incertezza il bambino si accorge e risponde con il pianto.
Allora ci vuole ancora pazienza per capire il pianto della fame, o del disagio di una posizione mal sopportata, del malessere o del dolore, o semplicemente il pianto del richiamo consolatorio, non raramente il pianto di stanchezza perché il bambino non riesce a prendere sonno….
Può aiutare darsi delle piccole regole all’interno della famiglia, regole non uguali per tutti ma improntate alla diversità di ogni famiglia, con presenza di fratelli o senza, con maggiore o minore disponibilità di aiuto , ma che creino abitudine di routines e di comportamenti, almeno finchè nel bambino si sia strutturato un buon ritmo sonno-veglia dopo il ritorno a casa.
Tradotto in parole semplici vuol dire meno visite di amici e parenti, sia a casa che fuori, meno telefonino, meno ambivalenza del proprio comportamento (lo prendo in braccio quando voglio, cioè se non sono troppo stanca…); meno “oggi vado con il bambino in un posto, domani in un altro”; tutto ciò non significa tenere il bambino chiuso in una casa avvolta nel silenzio: si esce a fare la passeggiata quando c’è abbastanza tempo e quando il tempo lo permette, in casa si parla, si ascolta musica, possibilmente si canta, legando alla propria voce un messaggio relazionale di sicurezza anche in assenza di contatto fisico: la mamma culla e favorisce l’addormentamento con la sua voce.
Il significato di tutto ciò è arrivare ad un buon sonno ristoratore tra un pasto e l’altro; se il bambino dorme bene al risveglio ha più fame , consuma meglio e in tempo minore il pasto, la madre è più contenta e trasmette al figlio la propria soddisfazione di brava madre …e così il circolo si chiude con un rilassamento di entrambi , un nuovo facile addormentamento e un sereno reciproco adattamento.
Negli ultimi anni l’esperienza ci ha dimostrato l’utilità che la madre trascorra almeno un paio di notti prima della dimissione nelle family rooms a disposizione nella nostra neonatologia, dove si è sempre accanto al bambino e dove si può sperimentare in autonomia una situazione quasi domiciliare.
Valeria Chiandotto